Lettera 43 del 01-09-2018
La Corte dei Conti boccia il nostro sistema educativo. Da eccellenza, stiamo lentamente regredendo. E la politica non mostra alcun interesse per migliorare le cose.
Scuola italiana bocciata rispetto all'inclusione degli studenti con disabilità. La relazione della Corte dei Conti relativa quinquennio 2012-2017 e pubblicata negli scorsi giorni, “parla” chiaro: il modo in cui viene gestita la presenza dei disabili fa acqua da tutte le parti. Non si tratta unicamente di una spesa eccessiva - il sistema “disabilità scolastica” costa 5,1 miliardi all'anno, di cui 4 servono solo per gli stipendi ai docenti di sostegno specializzati - conseguenza di un’inadeguatezza nella pianificazione delle risorse a livello di amministrazione centrale. Ci sono diversi altri nodi critici a livelli differenti: il documento mette in luce l’incapacità del MIUR di pianificare le risorse per l’inclusione, intesa come carenza nell'individuare le esigenze e quindi il numero e il tipo di interventi da erogare, sia sul piano educativo che su quello economico. Ciò comporta spesso anche una dilatazione considerevole dei tempi necessari affinché queste risorse vengano assegnate. A ciò si aggiungono la mancanza di un sistema di rilevazione statistica degli studenti disabili a livello nazionale (accesso e frequenza, esito scolastico e risultati curricolari) e l’assenza di uno strumento efficace di monitoraggio e valutazione dei percorsi di inclusione che consenta poi di effettuare delle stime realistiche sul rapporto costi-benefici dei medesimi.
TROPPA BUROCRAZIA E RIGIDITÀ DA PARTE DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE.
La Corte ha denunciato anche la farraginosità dell’impianto burocratico (una grande quantità di uffici all'interno del ministero dell’Istruzione non dialoganti tra loro e altrettanto numerosi Uffici scolastici regionali e provinciali aventi analoghe funzioni), la rigidità delle procedure operative e l’assenza di un coordinamento efficace tra le istituzioni che si occupano dell’inclusione degli studenti con disabilità – scuola, enti locali, servizi sanitari – le cui conseguenze si ripercuotono sulle famiglie e sui discenti stessi. Un esempio concreto? Il figlio della signora che mi assiste durante il pranzo ha ottenuto di recente la certificazione d’invalidità necessaria per aver diritto all'insegnante di sostegno. Da due mesi a questa parte la madre sta facendo la spola tra ufficio scolastico provinciale e sede Ussl cercando qualcuno che le sappia dire se a settembre il ragazzo potrà usufruire di supporto didattico. Pare una mission impossible: in ogni ufficio in cui entra viene rimandata altrove perché «la questione non è di nostra competenza». E non si tratta di una situazione isolata: da un’indagine Istat risulta che l’8,5% delle famiglie degli studenti disabili ha presentato ricorso per avere un maggior numero di ore di sostegno.
I docenti che ricoprono questo ruolo, seppur in aumento, non riescono a soddisfare l’esigenza: a fronte di 254 mila studenti con disabilità, ci sono solo 139 mila professori di sostegno, la cui continuità educativa non riesce per altro ad essere garantita. Secondo la Fish circa l’80% di studenti cambia due insegnanti di sostegno l’anno. Eppure molti sono specializzati e da anni aspettano invano di poter essere ammessi ai concorsi per l’immissione in ruolo (la situazione in Veneto è in questo senso paradossale). D’altro canto negli ultimi anni stiamo assistendo al boom delle certificazioni di invalidità: i bambini e ragazzini con deficit diagnosticato sono in continuo aumento. Ma chi viene certificato oggi? Come mai sono aumentate così tanto le diagnosi? La Corte dei Conti si è espressa su questo nodo critico dichiarando che attualmente il legame che sussiste tra disabilità e accertamento medico-legale non è in linea con quanto espresso dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità.
“A fronte di 254 mila studenti con disabilità, ci sono solo 139 mila professori di sostegno”
Quali sono le ricadute pragmatiche di tutto ciò? Un piccolo esempio provocatorio: il disturbo di attenzione e iperattività (ADHD). Nonostante tutta una corrente psicologica e psichiatrica ne abbia dichiarato l’inesistenza e che addirittura il suo inventore, in punto di morte, lo abbia definito un disturbo fittizio, negli ultimi anni questa supposta patologia è stata diagnosticata a moltissimi bambini e ragazzi. La diagnosi di ADHD dà diritto alla certificazione d’invalidità e, di conseguenza, a usufruire delle ore di sostegno didattico. Ma questo “disturbo”, per chi crede nella sua esistenza, si cura anche con un intervento di tipo farmacologico. Ciò significa somministrazione di psicofarmaci a minori. Ma vuol dire anche “etichettamento” e stigmatizzazione di chi viene diagnosticato. Che da uno studente con questa diagnosi non ci si possa aspettare un buon livello di attenzione e apprendimento è una certezza risaputa da tutti i docenti. Quindi il ragazzino “iperattivo” avrà diritto all'insegnante di sostegno ma chi crederà nella possibilità che possa conseguire una brillante carriera scolastica?
LA REGRESSIONE DEL SISTEMA EDUCATIVO ITALIANO.
La scuola italiana ha un passato glorioso in termini di politiche a favore dell’inclusione degli studenti con disabilità. Il nostro sistema educativo, a partire dagli Anni 70 ad oggi, è da sempre stato giudicato in tutto il mondo come il più avanzato. Negli ultimi anni invece mi sembra che stiamo assistendo a una rapida inversione di tendenza. Perché? In quale direzione si sta avviando la scuola italiana? Ma soprattutto, che tipo di scelte si stanno compiendo a livello politico per promuovere percorsi didattici ed educativi veramente inclusivi? Recentemente sono stati presentati i decreti applicativi della riforma del sostegno, che saranno emanati entro fine settembre. Le novità introdotte dalla riforma, che tali decreti renderanno operative, stanno suscitando molte polemiche da parte delle famiglie e degli stessi docenti di sostegno. Non a torto, secondo me. Comprendere la struttura e l’organigramma del sistema scuola e renderli comprensibili ai non addetti ai lavori non è un’impresa semplice ma credo sia indispensabile per poi riflettere sulle possibili logiche alla base delle scelte dei legislatori. Prima delle riforma le proposte relative alla quantificazione delle ore di sostegno da destinare ai singoli istituti venivano elaborate da gruppi di studio e di lavoro (Gli e Glho) interni e composti dai rappresentanti dell’intera comunità scolastica - dirigenti, docenti curricolari e di sostegno, genitori, operatori socio-sanitari, studenti (nelle scuole superiori).
Questi gruppi, operando a livello dei singoli circoli didattici e delle singole scuole, avevano il polso della situazione circa le reali esigenze degli alunni e ciò consentiva loro di formulare all’Ufficio scolastico regionale (Usr) proposte ad personam riguardo alla quantità di ore di sostegno da assegnare. Ora invece il compito di proporre l'entità di risorse da elargire spetterà al Gruppo Inclusione Territoriale (Git) che interverrà e opererà in un ambito territoriale più ampio rispetto alle singole scuole e sarà composto prevalentemente da dirigenti scolastici. Come farà il Git a intervenire ad personam, cioè ad avere un quadro dettagliato delle necessità specifiche di ogni istituto e alunno disabile che lo frequenta?
Il Git sarà composto in misura prevalente da dirigenti scolastici e qualche docente ma al suo interno non ci sarà nessun rappresentante delle famiglie degli studenti con disabilità.
“Il Git sarà composto in misura prevalente da dirigenti scolastici e qualche docente ma al suo interno non ci sarà nessun rappresentante delle famiglie degli studenti con disabilità.”
Che tipo di criterio adotterà nella spartizione delle risorse, quello educativo o quello economico? Il focus degli interventi sarà centrato sulle necessità dell’alunno o sulla necessità di far quadrare il bilancio d’istituto? Ricordiamoci che la riforma è stata realizzata dai nostri parlamentari. Cosa sta loro più a cuore? Non so cosa ne pensate voi ma io non riesco a individuare in chi legifera e ci governa, tanto oggi quanto nel passato recente, un reale interesse nel migliorare la qualità dello “stare a scuola”, sia degli studenti che dei loro docenti. Cosa resta della qualità del sistema scolastico italiano in materia di inclusione (e non solo)? Soltanto vuote retoriche? Nonostante tutto, non credo. Penso che le tante forme di protesta delle famiglie e degli insegnanti, singoli o riuniti in sindacati e associazioni, a cui stiamo assistendo in questi mesi, siano quei semi di ostinata speranza ed impegno nati dal ”basso” che, se innaffiati, potrebbero risollevare le sorti delle nostre scuole.
di Adriana Belotti
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