Su Science Translational Medicine ricercatori del Tigem di Pozzuoli dimostrano come ovviare a uno degli ostacoli per l’applicazione clinica della terapia genica.
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Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli ha dimostrato come ovviare a uno degli ostacoli principali per l’applicazione della terapia genica nelle forme ereditarie di cecità: lo studio, coordinato da Alberto Auricchio, group leader del Tigem e professore di Genetica Medica all’Università “Federico II” di Napoli, è stato pubblicato su Science Translational Medicine, rivista dedicata proprio agli avanzamenti dalla ricerca di laboratorio verso la clinica.
Le cecità ereditarie colpiscono oltre 200mila persone solo nell’Unione europea e sono dovute nella maggior parte dei casi ad alterazioni di geni che codificano per proteine localizzate nei fotorecettori, le cellule nervose dell’occhio responsabili della visione. La terapia genica rappresenta una delle strategie più promettenti per queste forme di cecità, grazie all’iniezione direttamente nell’occhio di vettori di origine virale modificati in modo da essere incapaci di replicarsi ma in grado di trasportare versioni corrette dei geni difettosi nei pazienti.
Nel dicembre del 2017 è stata approvato negli Stati Uniti – e un anno dopo anche in Europa – il primo farmaco di terapia genica per una rara retinopatia ereditaria, l’amaurosi congenita di Leber, al cui sviluppo hanno contributo anche i ricercatori del Tigem. I vettori utilizzati sono quelli adeno-associati (AAV), già ampiamente utilizzati in ambito clinico e molto adatti al trasferimento genico nel tessuto oculare. «Uno dei punti di forza dei vettori AAV per la cura di malattie umane è che sono piccoli e diffondono bene attraverso i vari tessuti – spiega Alberto Auricchio – questo è però anche un limite, dal momento che essendo piccoli trasportano una limitata quantità di DNA che non ci permette di utilizzarli così come sono per il trasporto di geni di grosse dimensioni, come per esempio quelli responsabili della malattia di Stargardt o di altre forme di amaurosi di Leber. Per questo da diversi anni siamo al lavoro per studiare come risolvere il problema: in questo caso ci siamo ispirati a un sistema tipico organismi unicellulari come le alghe cianobatteri, che attraverso un meccanismo di “cuci e taglia” producono proteine lunghe a partire da precursori più corti».
In particolare, i ricercatori hanno costruito dei vettori AAV codificanti ciascuno una delle porzioni di una grossa proteina che non potrebbe essere codificata per intero con un solo vettore, dato appunto il limite di traporto di AAV. Le varie porzioni della proteina vengono poi riassemblate in una proteina intera e funzionale utilizzando il meccanismo di “taglia e cuci” mutuato appunto dai batteri. «Con questo sistema siamo riusciti a ripristinare in modo efficiente la produzione della proteina mancante in modelli murini di cecità ereditaria come la malattia di Stargardt o la amaurosi di tipo 10, che si è tradotta in un significativo ripristino della capacità visiva» spiegano Patrizia Tornabene e Ivana Trapani, prime autrici del lavoro. «Il sistema si conferma quindi promettente per trasferire geni di grosse dimensioni, ovviando a un ostacolo tecnico che fino ad oggi ha precluso l’applicazione della terapia genica in molte malattie genetiche incurabili».
«Stiamo testando la possibilità di applicare questo sistema a proteine e malattie che colpiscono tessuti al di fuori della retina, per esempio il fegato dove anche il sistema sembra promettente. Inoltre stiamo cercando di avanzare i nostri studi nella retina per la malattia di Stargardt dal laboratorio al letto del paziente. Presumibilmente questo passaggio richiederà delle collaborazioni industriali, considerati i costi elevati di questi aspetti di ricerca traslazionale».
Questo studio è stato finanziato dalla Fondazione Telethon e dallo European Research Council.
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