La Repubblica del 03.05.2019
Due ricerche mettono in evidenza i cambiamenti cerebrali nella corteccia uditiva che permettono di ascoltare meglio suoni e parole.
Per molti di noi riuscire ad attraversare una strada trafficata con il solo aiuto delle nostre orecchie sarebbe un'impresa molto rischiosa, se non impossibile. Ma per i non vedenti rappresenta solamente uno dei tanti compiti che svolgono quotidianamente, per riuscire a farsi strada nel mondo. Si sa che le persone cieche fin dalla nascita, o che hanno perso la vista in tenerà età, hanno un udito molto più sviluppato, soprattutto per quanto riguarda l’abilità nel riconoscere i suoni e il saper identificare gli oggetti in movimento. E ora, due nuovi studi dell'Università di Washington, appena pubblicati sul Journal of Neuroscience e su Pnas, sono riusciti a identificare per la prima volta i precisi cambiamenti cerebrali responsabili del "super udito" dei non vedenti.
La sensibilità alle frequenze.
In entrambi gli studi, i ricercatori si sono serviti della risonanza magnetica funzionale (Fmri) per monitorare l'attività della corteccia uditiva (l'aera cerebrale che elabora le informazioni uditive) in un gruppo di partecipanti vedenti e non vedenti a cui è stato chiesto di ascoltare una sequenza di suoni molti simili a quelli del codice Morse. I ricercatori, oltre a osservare quali aree del cervello sono più attive durante l'ascolto, hanno anche analizzato la sensibilità della corteccia uditiva a piccole differenze nella frequenza uditiva. Dal confronto delle risonanze magnetiche dei due gruppi, i ricercatori hanno scoperto che l'elaborazione delle diverse frequenze dei suoni da parte dei non vedenti avviene in una larghezza di banda più ristretta e accurata rispetto a quella degli individui sani. Come spiegano i ricercatori, nella corteccia uditiva le persone cieche mostrano una “sintonizzazione” neurale migliore e più precisa nel distinguere piccole differenze nella frequenza di ciascun suono.
Oggetti in movimento.
Nel secondo studio, i ricercatori hanno esaminato in che modo il cervello delle persone cieche fin dalla nascita, o che hanno perso la vista in tenera età, riesce a elaborare la posizione degli oggetti in movimento utilizzando solamente l’udito. Servendosi sempre della risonanza magnetica funzionale, il team si è concentrato su una specifica area cerebrale, chiamata hMT+, che normalmente è responsabile del rilevamento di oggetti in movimento. Dalle analisi, i ricercatori hanno osservato che nei non vedenti questa regione svolge un ruolo analogo a quella delle persone vedenti, ovvero quello di monitorare gli oggetti “uditivi” in movimento.
“Questi risultati mostrano come la cecità produce plasticità nella corteccia uditiva, un aspetto importante perché si tratta di un'area del cervello che riceve informazioni uditive molto simili negli individui ciechi e vedenti”, spiega l'autore di entrambi gli studi, Ione Fine, psicologo dell'Università di Washington. “Ma nei non vedenti è necessario estrarre più informazioni dal suono ed è proprio per questo che questa regione cerebrale sembra sviluppare capacità avanzate”. Tuttavia, rimane ancora poco chiaro in che modo la corteccia uditiva sviluppi questa forma di neuro-plasticità, anche se per ora i ricercatori ipotizzano che la spiegazione potrebbe risiedere in un adattamento evolutivo alla cecità precoce.
di Marta Musso
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