giovedì 31 dicembre 2020

Fine di un anno travagliato: quale bilancio per l’inclusione?

Disabili.com del 31/12/2020

Pandemia, scuole chiuse, didattica a distanza: il 2020 è stato un anno difficile per tutti, e in particolare per i bambini, soprattutto per i piccoli con disabilità.

Il 2020 volge ormai al termine e quasi scaramanticamente ne attendiamo la fine con premura, nella speranza che il nuovo anno possa iniziare in maniera più positiva. È stato verosimilmente l’anno più difficile per tutti noi, abbiamo visto tante persone andarsene in un sospiro, tanti nonni, una generazione, quella che ha portato il nostro Paese al benessere.

Alcune immagini e sensazioni ci accompagneranno per tutta la vita, eppure una forza dentro di noi chiede ancora vita, spinge a desiderare, a volere luce e calore, speranza. La speranza di poter portare questa sofferenza come testimonianza in un mondo che possa ancora consentire prossimità, vicinanza, fisica, umana, materiale. Quella vicinanza che tanto è mancata in questo terribile anno, soprattutto ai bambini, ai più piccini, che non capiscono perché sono soli, ai bambini con disabilità, già deprivati e ora, ancora più, pure di ogni contatto.

Quest’anno li ha messi a dura prova: li ha lasciati da soli nelle case troppo vuote e troppo silenziose, li ha assegnati alla distanza, ha tolto loro ogni parola. E quando hanno provato a farli uscire di casa li hanno lasciati da soli a scuola, con un solo insegnante, troppo spesso in gruppi formati soltanto da alunni con disabilità e da docenti di sostegno.

Ma dove stiamo andando? Cos’accadrà adesso? Cosa vediamo all’orizzonte se ci turba perfino l’azione del legislatore, se non ne comprendiamo il senso? Le norme cambiano, o forse no, si innovano e tutto è fermo. La spirale gattopardiana fagocita ogni ardire e siamo qui, ad attestare l’eterno ritorno dell’uguale che, per chi ha una disabilità, è sempre una parola amara: esclusione, marginalizzazione, stigmatizzazione, discriminazione. Una vale l’altra, se vogliamo, è un pezzo di dolore. Si torna indietro forse, ci si arrende. L’inclusione diventa sberleffo, smorfia innaturale, si piega su sé stessa e ci abbandona.

Ne parliamo con E. Chiocca, Presidente del Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno (CIIS), docente e formatrice da sempre in prima linea a tutela dell’inclusione che, da tempo ormai, evidenzia preoccupazione per lo stato delle cose.

Come valuta il cambiamento in atto nel suo insieme?

Devo dire che sono molto preoccupata del “nuovo” che, avanzando, distrugge quanto faticosamente costruito in oltre quarant’anni di storia dell’inclusione scolastica in Italia. Evidentemente sono in molti a non crederci. Evidentemente in molti ritengono che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B. E, accanto a loro, ci sono coloro che si sentono ‘fuori’, perché, per loro, la questione non li riguarda. Fra questi, è triste dirlo, ci sono anche gli insegnanti. Gli alunni con disabilità sono scomodi: ti mettono in discussione, ti obbligano a pensare e a ripensare il tuo agire e il tuo essere. Ti impongono di trovare altre strade, di non fermarti all’apparenza, di fidarti di loro, di raccogliere la sfida e di provare. Ti riportano alla realtà delle cose, in cui la perfezione è un’idea costruita, non una realtà, in cui la diversità è la caratteristica fondante e non uno slogan, in cui l’unicità della persona è tale nelle sue accezioni e non nello standard che ci siamo culturalmente costruiti e dietro il quale ci nascondiamo per giustificare la non reale accoglienza o le nostre manifeste azioni di discriminazione.

Le etichette hanno fatto il resto e ci sono utili, perché aiutano a nascondere le nostre miserie e la nostra pochezza. Tanto non ci riguarda, si pensa! Succede ad altri. Ci pensino loro. E con questo ritornello torniamo alla quotidianità, compiangendo gli alunni con disabilità quando li vediamo, commiserandoli quando li incontriamo, e lanciando ogni tanto qualche pensiero a “quelle povere famiglie” alle quali la natura ingrata ha dato un figlio che nessuno di noi vorrebbe e vuole.

Ma se capitasse anche a noi? Se domani nella nostra famiglia si presentasse un piccolo con disabilità? O se noi stessi ci trovassimo in una condizione di disabilità? O se noi ci trovassimo nei loro panni? Che cosa diremmo? Manterremmo i nostri atteggiamenti ipocriti e di perbenismo? L’essere quasi obbligati a provare a metterci nei panni degli altri o a trovarci nelle stesse condizioni delle famiglie al cui interno vive una persona con disabilità mostra come siamo distanti non tanto dal processo di inclusione, quanto dalla cultura dell’umanità. E questo il nuovo modello di PEI lo conferma.

Il nuovo modello di PEI, ancora in bozza, consegna alla società una prospettiva di frattura e di conflitto fra scuola e famiglia, rompe il dialogo, spezza il confronto, impedisce la condivisione e affida di fatto arbitrariamente alla scuola ogni decisione riguardanti una persona, l’alunno, le cui responsabilità la Costituzione affida ai genitori.

Che cosa significa tutto ciò? Qualche cosa si è rotto nel delicato e faticoso equilibrio di un dialogo talvolta difficile di un confronto a volte complesso, ma anziché trovare forme atte a garantire il diritto allo studio, si è trovato l’escamotage per aggirare ogni possibilità di incontro. Bastava agire su altri fronti, come quello della formazione, per esempio, assicurando alla scuola personale professionalmente competente, ovvero specializzando tutti i docenti e formando i dirigenti scolastici, in modo puntuale. Ne avrebbe giovato il percorso inclusivo e ne avrebbero giovato tutti gli alunni, non solo quelli con disabilità. Non è andata così…

Il futuro non è roseo. Vedo la nave naufragare contro gli scogli. Vedo sorgere classi speciali nella scuola di tutti. E questa prospettiva è angosciante. Al tempo stesso confido nell’autodeterminazione delle famiglie, nella capacità di riprendere in mano la situazione, di intervenire e di agire. Non credo che si possa buttare al vento quanto faticosamente costruito e sono convinta che molti genitori insieme a molti docenti siano in grado di riportare la barra al centro della via dell’inclusione. Quella reale.

Condividiamo ogni timore, ogni paura e tuttavia coltiviamo speranza. La cerchiamo negli occhi dei bambini, che pure guardano ancora con stupore e meraviglia.

Buon anno a tutti.

1 commento:

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