Superando del 14/12/2020
È una persona tosta, Loris Cappanna, maratoneta non vedente, già campione nazionale nella sua categoria, che ama osare un po’ per volta, per aprire nuove strade e nuovi percorsi, tracciando la strada ad altri. Per lui è fondamentale affidarsi e fidarsi a un “atleta guida” che ne condivida le sensazioni, comprendenti sia il benessere che la performance, e dello sport dice che «è un mezzo di aggregazione, di contatto con il mondo esterno, di acquisizione delle regole e soprattutto un modo di socializzare alternativo ai social».
Ha ottenuto nel 2017 il titolo italiano nella categoria T11 alla Mezza Maratona di Oristano, coprendo la distanza di 21 chilometri in 1 ora 25 minuti e 34 secondi. Un mese dopo, ha vinto un altro titolo nazionale, nella medesima categoria, alla Maratona di Roma (42 chilometri e 195 metri in 3 ore e 13 secondi). «Lo sport – racconta Loris Cappanna – mi ha dato nuovi stimoli e opportunità, e quando gareggio, essendo cieco totale, più che stare attento io, devono stare attente le mie guide, anche se devi comunque fare sempre attenzione ai rumori che ti circondano».
Diventa dunque importante nello sport, soprattutto per Loris, affidarsi e fidarsi, farsi guidare da qualcun altro, da un “atleta guida” che ne condivida le sensazioni, comprendenti sia il benessere che la performance.
Quali sono le condizioni fisiche o ambientali che più spesso ti hanno indotto a una prestazione non ottimale?
«L’eccessivo caldo o un percorso non adatto ad atleti con disabilità».
Quali persone hanno contribuito al tuo benessere nello sport o alla tua performance?
«Atleti guida, sicuramente, e il mio preparatore atletico».
Qual è stata la gara della tua vita, dove hai sperimentato le emozioni più belle?
«Ogni gara è un’emozione unica, però l’emozione più forte è stato quando ho fatto il pacer, ovvero il corridore di riferimento, alla Maratona Alzheimer del 2017».
E a proposito di pacer, avere la responsabilità della prestazione di un altro atleta può comportare una sensazione di ansia, di insicurezza: si tratta infatti di fare bene per l’altro, di non poter fallire, ma se c’è cuore, passione, motivazione, non ti preoccupi, ti metti scarpe e completino e dai il massimo di te per l’altro, per condurre l’altro all’arrivo nel tempo prefissato.
Quali sono i meccanismi psicologici che ritieni ti abbiano aiutano nello sport?
«La volontà di raggiungere l’obiettivo e di non mollare mai».
Questo è lo sport che vogliamo, prefissarsi una meta, un obiettivo e impegnarsi, allenarsi duramente, crederci e non mollare.
I tuoi familiari e amici cosa dicono circa il tuo sport?
«Ne sono positivamente entusiasti e alle volte anche increduli, quando pensano alla quantità di chilometri che faccio ogni settimana».
Ti va di descrivere un episodio curioso o divertente della tua attività sportiva?
«Le prime volte che correvo, ancora nessuno mi conosceva, alcuni arrivando da dietro, vedevano il cordino che mi legava all’atleta guida e si affiancavano chiedendo: “Ma siete gay?», o domande simili. In quei casi il divertimento stava nel cercare sempre la risposta migliore».
Ora sono in aumento atleti non vedenti e ipovedenti che corrono accanto a guide e le persone si stupiscono sempre di meno. Certo, resta l’incredulità. Ma cosa hai scoperto di te stesso nel praticare attività fisica?
«Che ho forza e volontà da vendere».
Quali sensazioni sperimenti o hai sperimentato nello sport: allenamento, pregara, gara, post gara?
«L’emozione della partenza, l’adrenalina che ti sale in gara, la soddisfazione all’arrivo qualunque sia il risultato».
Mi è capitato di vedere personalmente all’opera Loris, in occasione della Spring Run di Ferrara, dove lui era testimonial. L’ho visto riscaldarsi con la guida, fare gli allunghi, sempre disponibile e gentile a farsi fotografare con amici che glielo chiedevano, e poi, alla partenza, ascoltare le indicazioni del suo atleta guida, concludendo la gara di 7 chilometri, percorrendo la distanza in 3 minuti e 50 secondi a chilometro.
Qual è stata la tua gara più difficile?
«La Rimini-San Marino con tre pendenze oltre il 20%. E d’altronde il primo non vedente a farla ancora mancava!».
Loris è uno tosto, che ama osare un po’ per volta, per aprire nuove strade e nuovi percorsi, tracciando la strada ad altri.
Hai mai rischiato di incorrere nel doping? E c’è un messaggio che vorresti dare per sconsigliare il doping?
«Assolutamente non ci ho mai pensato, il duro lavoro, il sacrificio e i bei piatti di pastasciutta sono il miglior doping del mondo».
Riesci ad immaginare una vita senza lo sport?
«Proprio no».
Come hai gestito eventuali crisi, sconfitte, infortuni?
«Nel modo più semplice possibile, ritenendole come opportunità per migliorarmi».
Pensi che potrebbe essere utile la figura dello psicologo dello sport?
«Credo di sì, soprattutto nei giorni prima della gara, dove tutti i dubbi ti assalgono».
Quale messaggio vuoi rivolgere ai ragazzi per farli avvicinare a questo sport?
«Preferisco considerare tutti gli sport come un mezzo di aggregazione, di contatto con il mondo esterno, di acquisizione delle regole e soprattutto come un modo di socializzare alternativo ai social».
Quali sono i sogni che hai realizzato?
«Avere inaspettatamente vinto i Campionati Italiani di Mezza Maratona e la Maratona Paralimpica».
Affidarsi e fidarsi, l’abbiamo detto, è quello che si può sperimentare nello sport, ed è quello che si sperimenta correndo e camminando con gli atleti con disabilità visiva.
Matteo Simone - Psicologo dello sport, psicoterapeuta Gestalt ed EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).
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