Il Corriere della Sera del 19.04.2019
La donna aveva una grave retinite pigmentosa. Alla seconda gravidanza ha saputo che non avrebbe potuto vedere la figlia e che la avrebbe dovuta crescere da non vedente.
MILANO. Diventare madre può essere una scelta gioiosa, ma difficile. Quando una donna, per portare avanti una seconda gravidanza, deve fare i conti con una grave retinite pigmentosa congenita che la sta lentamente privando della vista. «Era importante sapere se avrei trasmesso la malattia a quella che poi è stata la mia seconda figlia e la mia forza» racconta Erica Monteneri dietro i grandi occhiali scuri, con un sorriso che rispecchia allegria. «Tolto questo dubbio, non ne ho avuti altri! Ma sapevo che crescere un nuovo figlio senza più vedere non sarebbe stato semplice. Uscita dalla sala parto non ci vedevo più».
Erica allora aveva 41 anni. Oggi ne ha 77. Sul palmo della mano «una doppia linea della vita: quella della vita da vedente e quella della vita da cieca. È stato difficilissimo orientarsi in questa nuova condizione, ma ce l’ho fatta». Grazie alla famiglia, agli amici e all’Unione Ciechi e Ipovedenti di Milano, associazione nella quale lavora come dirigente dal 2000, dopo aver lasciato l’insegnamento. Un merito ce l’ha anche la passione per la scrittura, che Erica coltiva da sempre. Non ha mai imparato il Braille. Ferma i suoi pensieri dettandoli a un registratore, per poi farli trascrivere ad alcuni amici di buona volontà.
Sono state proprio le amiche del cuore a convincerla a pubblicare alcuni racconti ritrovati in un cassetto durante un trasloco. Brevi «Cammei» femminili, ritratti di donne reali – compresa lei – che attraversano il tempo e la storia del nostro Paese. L’obiettivo è finanziare, con i proventi delle vendite del libro disponibile anche in versione audio, un corso di scrittura creativa per una classe virtuale di otto uomini e otto donne non vedenti. Perché «scrivere aiuta a fissare i ricordi quando non hai più le fotografie da poter guardare» spiega. «A me fa anche compagnia nei momenti difficili. Nelle mie pagine c’è dramma, dolore, ma anche leggerezza, ironia. Del resto, io stessa non sono una creatura drammatica, vedo sempre il lato positivo delle cose». Sembra proprio così. E la storia della sua vita non può che darle ragione.
di Ornella Sgroi
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