domenica 21 aprile 2019

Storia di Anna e Nora, la para-triatleta e il suo Labrador: "Io e lei siamo una cosa sola"

Il Corriere della Sera del 21.04.2019

Anna Barbaro, ingegnere e violinista, dopo la malattia ha trovato riscatto nello sport: prima il nuoto e poi la triplice disciplina. E adesso in gara anche con il suo cane: «Il ruolo delle guide umane è fondamentale, ma affrontare una gara anche da soli toglie una soddisfazione ulteriore».

Costume, cuffia, occhialini: riconoscere Anna Barbaro ai blocchi di partenza non è certo semplice. Nemmeno la zia, sua tifosa fin dalle prime gare in piscina, riesce mai a distinguerla. E allora, come si fa in questi casi, si chiede aiuto a chi, sugli spalti come noi, ci sta seduto a fianco: «Nora, dov’è Anna?». Occhi puntati sulla corsia giusta, orecchie tese, sguardo concentrato. E quell’abbaio, ogni volta che la ragazza tocca il muretto. Cercate Anna? Il suo Labrador ve la «indicherà»: tanto a bordo vasca quanto sulla pista d’atletica. Sono rare le occasioni in cui questa atleta della nazionale di para-triathlon si separa dalla sua guida a quattro zampe: un ruolo impegnativo, per cui il cane per non vedenti viene addestrato minuziosamente. Nella quotidianità di Nora con Anna, però, c’è molto di più: nuotano in coppia, ad esempio, ma anche corrono. E hanno da poco vinto la loro prima medaglia insieme.
Il battesimo del nuoto.

Ingegnere e violinista, con venti chili in più rispetto a oggi: lo sport non era certo scritto nel DNA di Anna quando, nel 2010, un virus ne sconvolge la vita ledendo i suoi nervi ottici. Non sapeva nemmeno nuotare quando suo padre, a vista già irrimediabilmente calata, la portò in piscina: «Fino all’età di 25 anni avevo condotto una vita sedentaria. Il nuoto mi ha aiutato ad accettare la mia condizione, mostrandomi una nuova possibilità di indipendenza: in acqua mi sono sentita rinascere». Un secondo battesimo: un nuovo inizio per una persona che, come Anna, crede. Chiamatelo destino (lei lo chiama «Dio»), ma la vita di Anna, per chi li vuole cogliere, è costellata di piccoli, grandi segni: «Pensare, ad esempio, che avevo prestato servizio civile con i non vedenti e che, a distanza di tre anni, lo ero diventata anche io».

Crederci sempre.

Ma non è tutto: «Nora nasce il 26 gennaio 2011, il mese in cui iniziavo a essere accompagnata perché il problema si faceva sempre più grave. Sono molto religiosa e penso che Nora sia nata per me: un regalo che Dio mi ha fatto per dirmi che c’era ancora, anche se nei momenti più dolorosi io l’avevo rinnegato. Una creatura a cui era stata data la vita per “infondere” nuova speranza. Uscire per la prima volta da sola con lei è stato un secondo inizio, alla riconquista di quell’autonomia ormai perduta». Campionessa in vasca e in acque libere, Anna aveva nel frattempo attraversato lo stretto di Messina a nuoto già quattro volte, ma è l’agosto del 2012 il mese che ricorda con più meraviglia, quello che ha portato più novità nella sua esistenza: «C’era stata l’assegnazione di Nora: un fulmine a ciel sereno». E se di folgorazioni vogliamo parlare, il mese dei Giochi di Londra, con le cronache ascoltate alla radio, fece il resto: «Affascinata dai racconti sul triathlon, fu quello il momento in cui per me scoccò la scintilla».

Radio Londra.

E poi quella notizia: «I commentatori di Londra anticiparono che nel 2016 a Rio avrebbe esordito il para-triathlon: fu l’inizio della mia storia a tre discipline. La piscina mi era sempre stata stretta ed erano state le acque libere, soprattutto, ad appassionarmi. Ero partita da zero nel nuoto; l’avrei fatto per il ciclismo e la corsa. Al mio fianco, nonostante le perplessità dei più, c’è sempre stato Giuseppe Rapace, mio unico allenatore. Certo, per Rio il sogno era troppo ambizioso, ma iniziai subito con le prime gare. Dall’esordio, nel 2015, che fu un totale disastro, la strada fatta è stata tanta, fino ai primi raduni in nazionale nel 2017, per arrivare a oggi, con la Federazione italiana triathlon e Mattia Cambi con Neil Mac Leod (rispettivamente direttore tecnico e project manager del settore para-triathlon, ndr) che stanno puntando molto su di me».

Cane bagnino.

Oggi Anna mira a Tokyo e attualmente occupa il settimo posto del ranking mondiale. La strada è lunga ma non è certo sola, e Nora finora l’ha quasi sempre seguita: «Non nelle trasferte intercontinentali, ma ormai è perfettamente integrata nella mia quotidianità fatta di sport. Entra in piscina (le è perfino concesso di stare a bordo vasca) come anche le è garantito l’accesso alla pista d’atletica. In gara, no: ad accompagnarmi c’è una guida umana, in tutte e tre le frazioni e, se ci penso, mancava proprio la condivisione di questa mia parte di vita. Avevo sentito parlare del primo triathlon con i cani che si è disputato in Italia e ho subito pensato facesse per noi. La frazione bike sarebbe stata complicata, ma il nuoto con Nora era già rodato (insieme andiamo al mare da sole) e la corsa sarebbe stata un’altra bella sfida».

Da sole, insieme.

«Accolta con entusiasmo anche da Antonella Salemi, presidentessa dell’unico team di triathlon tutto al femminile — il Woman Triathlon Italia, di cui faccio parte — l’idea di partecipare a una gara con Nora si è fatta sempre più concreta e a Udine, domenica 7 aprile, siamo state premiate come primo binomio runner non vedente-cane guida (supportato da Enrico Golfetto, che mi ha seguito segnalandomi le asperità del terreno)». Special Dog Endurance la disciplina prevista dalla Federazione italiana sport cinofili in cui Anna e Nora si sono distinte, aprendo la strada a un nuovo modo di condividere l’esistenza: non più solo nella quotidianità, ma ora anche nell’agonismo, ultimo baluardo di un’autonomia rubata che persone come Anna ogni giorno tentano di riscattare. Una libertà che Anna insegna, abilitata alla didattica della tiflologia, la scienza che aiuta i non vedenti a riacquistare la propria autonomia. «Il ruolo delle guide umane nello sport è fondamentale, ma sapere di poter affrontare una gara anche da soli toglie una soddisfazione ulteriore». Non proprio da soli, certo: c’è pur sempre Nora. «Appunto, io e lei: una cosa sola».

di Valentina Romanello

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