mercoledì 17 aprile 2019

Le soluzioni accessibili non riguardano "qualcun altro", riguardano tutti, di Simona Petaccia*

Superando.it del 16.04.2019

«È necessario – scrive Simona Petaccia – che i professionisti della comunicazione diffondano un concetto tanto banale quanto taciuto: un servizio o un prodotto accessibile è usabile da tutti. Si tratta infatti di insistere a ogni livello per comunicare questa visione affinché, finalmente, si comprenda che queste soluzioni non riguardano “qualcun altro”. Si pensi solo, per fare un esempio, a quanti strumenti informatici nati per ovviare a una difficoltà vengono ormai usati da tutti: touch screen, comandi vocali, smart speaker ecc.».

Pagare un parcheggio, fare acquisti online, eseguire un’operazione al bancomat, prendere un caffè a un distributore automatico, utilizzare un PC, scattare una foto con lo smartphone, videochiamare con un tablet, seguire un programma in TV, avvalersi di servizi bancari online, leggere un e-book, ricevere informazioni in tempo reale su aerei, navi, treni, tram ecc. ecc. Si potrebbe continuare all’infinito nell’elencare tutte le azioni svolte nella quotidianità grazie alla tecnologia. Si danno ormai per scontate. In realtà, non lo sono affatto. Più di 80 milioni sono le persone con disabilità in Europa e molte di loro hanno ancora difficoltà nell’usarle, perché inaccessibili.

Non bisogna poi dimenticare che tale cifra – già, di per sé significativa – cresce notevolmente se si considera come la popolazione anziana sia in costante aumento.

Questi milioni di cittadini europei non hanno ancora risposte alle loro esigenze, nonostante siano già trascorsi tredici anni dall’approvazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e dieci dalla ratifica da parte del nostro Paese, con la Legge 18/09. Una Convenzione attraverso la quale si chiedeva esplicitamente agli Stati Membri dell’Unione Europea di prendere misure appropriate per assicurare alle persone con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri, anche l’accesso all’informazione e alla comunicazione.

Il 13 marzo scorso il Parlamento Europeo ha approvato l’European Accessibility Act, Direttiva che stabilisce i requisiti per rendere più accessibile una serie di prodotti e servizi tecnologici, al fine di aiutare le persone con disabilità e gli anziani a partecipare attivamente alla vita sociale in Europa, oltre che di incentivare le imprese a promuovere un’innovazione adatta a tutti [se ne legga già ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.].

Il testo attende ora l’approvazione formale del Consiglio dell’Unione Europea e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione, mentre gli Stati Membri avranno a disposizione tre anni per integrarlo nella propria legislazione e sei per renderlo effettivo.

È una bella notizia. Il battesimo di una legge che tutela un diritto è sempre una bella notizia. Purtroppo, però, la storia italiana ci insegna che le normative possono avviare i processi di trasformazione, ma da sole non bastano. Non sempre, infatti, testi eccellenti sono seguiti dalla capacità di farli rispettare.

In questo, l’Atto Europeo sull’Accessibilità ha un merito in più: evitando cioè la frammentazione del quadro normativo nell’Unione Europea, rende più appetibile agli imprenditori la vendita di prodotti e servizi accessibili nel mercato comune. Infatti, pur essendo previste esenzioni a micro-imprese con meno di dieci impiegati e fatturato inferiore a 2 milioni di euro, si promuovono la produzione e la distribuzione di prodotti e servizi compatibili con i requisiti stabiliti dalle nuove norme.

E tuttavia, non basta ancora! A parte i maggiori fondi sui quali dovranno lavorare i politici, è necessario che i professionisti della comunicazione diffondano un concetto tanto banale quanto taciuto: un servizio o un prodotto accessibile è usabile da tutti. In realtà, molti li usano già, ma manca ancora questa consapevolezza culturale. Si pensi soltanto al fatto che le persone con disabilità sono, ultimamente, le più “imitate”. No, non sono ubriaca. Nessuno, infatti, l’ha ancora sottolineato prima, ma invito tutti a pensare a quanti strumenti informatici nati per ovviare a una difficoltà sono ormai diventati “di moda”: touch screen, comandi vocali, smart speaker ecc.

Si tratta dunque di insistere a ogni livello per comunicare questa visione affinché, finalmente, si comprenda che queste soluzioni non riguardano “qualcun altro”. Se non prima, infatti, li useremo nella terza età, nostra o dei nostri cari. Sono un importante passo avanti per la civiltà verso alcuni e il progresso di tutti. Grazie infatti alle opportunità offerte dalle tecnologie, le persone con disabilità e i senior possono migliorare la propria autonomia e riacquisire un certo controllo sulla propria vita, costruendo un nuovo equilibrio nelle relazioni con se stessi e con gli altri. Seguendo questa logica, è anche possibile sostenere che esse siano in grado di incidere fortemente sul welfare di un Paese, poiché questi prodotti e servizi consentono lo svolgimento di attività per le quali è attualmente necessaria un’assistenza.

Quando sogniamo le “città del futuro”, immaginiamo quelle proposte dai fumetti o dai videogiochi, caratterizzate da spostamenti più veloci della luce, viaggi su pianeti inesplorati e androidi guidati dal pensiero ecc. ecc. Probabilmente sarà così, nei prossimi decenni, ma credo che ciò che conti davvero sia garantire che le proposte tecnologiche di domani influiscano positivamente anche sulla qualità della vita e della salute di ognuno di noi.

* Simona Petaccia,

Giornalista, presidente dell’Associazione Diritti Diretti. Il presente testo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Accessibilità, perché dobbiamo capire che ci guadagnano tutti”). Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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