sabato 20 aprile 2019

Non vedente dalla nascita, ma pilota gli aerei. "Così batto i pregiudizi"

Corriere del Mezzogiorno del 20.04.2019

La storia di una programmatrice di Salice Salentino

«Il mio nuovo sogno? Volare con le Frecce Tricolori».

SALICE SALENTINO. Sarà perché è nata a Salice Salentino, e fin da piccola è abituata a sentire sulla testa il rombo degli aerei che decollano e atterrano nella base dell’Aeronautica militare della vicina Galatina, poco distante da Lecce; sarà perché a quanto pare non è particolarmente attratta dalle cose semplici semplici, visto che si dedica anche a sci, equitazione e arrampicata; oppure sarà, più semplicemente, che segue con determinazione le sue passioni senza farsi condizionare né tantomeno ingabbiare dalla barriera di pregiudizi e scetticismo che più di una volta le è sorta attorno. Fatto sta che lei, Sabrina Papa, 49 anni, pugliese che da tempo si è trasferita a Roma, professione programmatrice, cieca dalla nascita, è la prima italiana non vedente che almeno una volta alla settimana si mette ai comandi di un aereo e si tuffa tra le nuvole. «Sia chiaro, sempre in assoluta sicurezza e su velivoli tandem con la guida di un istruttore», tiene a precisare. Comunque sia, la sua storia ha fatto il giro d’Italia. E non solo. Al punto che ha ispirato il docufilm “Chiudi gli occhi e vola” della regista Julia Pietrangeli, approdato sul grande schermo nel corso di diversi festival internazionali.

Lei vola ormai da tre anni. Quando è nata questa passione?

«Fin da quando ero bambina. Sono di Salice Salentino, vicino a Galatina: lì c’è la base dell’Aeronautica militare e siamo abituati a sentire ogni giorno il rombo dei jet. Ne sono sempre stata affascinata».

Come ha reagito la gente quando ha detto che voleva volare?

«A dir la verità non ne parlavo tanto».

Perché?

«Temevo che non mi avrebbero presa sul serio. Ma non ho mollato. E continuavo a giocare coi modellini e ad appiccicare i poster degli aerei in camera».

Però in casa ne avrà pur parlato. Cosa le hanno detto i suoi genitori?

«All’inizio sono rimasti sorpresi, ma hanno capito e adesso sono contenti. Del resto tutto sommato sono abituati».

In che senso?

«Mi piace sciare, faccio arrampicata e vado a cavallo: insomma, non sono mai stati tranquillissimi. Certo, ho dovuto ridurre un po’ tutto: la schiena non è che funzioni più benissimo».

Che cosa prova quando vola?

«È una domanda difficile».

Perché?

«Chi vede assapora la gioia di un panorama, per me è diverso».

Vale a dire?

«È un’emozione forte».

Di che tipo?

«Mi sento libera. Mi pare di galleggiare nell’aria, è qualcosa di indescrivibile».

È stato più difficile imparare a volare o superare i pregiudizi?

«Sicuramente vincere i pregiudizi».

Per quale ragione?

«Perché si tratta di qualcosa che non dipende da noi. Spesso in tanti non tengono presente che i disabili conoscono perfettamente i propri limiti. Piuttosto sono gli altri che non li comprendono».

Perché risulta difficile cambiare questa mentalità?

«Purtroppo molta gente parte da un presupposto: se sei un disabile, una certa cosa non la puoi fare. Punto».

Come si reagisce di fronte a queste false convinzioni?

«Evitando di farsi scoraggiare. Bisogna invece lasciarsi guidare dalla passione».

È così anche per il volo?

«Certo. L’importante è la consapevolezza delle cose da fare: non siamo incoscienti, non è un gioco, per me la prima cosa è la sicurezza».

Come si è affacciata al mondo degli aerei?

«Mi sono imbattuta su facebook nell’associazione dei “Baroni Rotti”: li ho contattati, ho iniziato a frequentare il Club Arrow di Sutri, vicino a Roma. E da lì è cominciato tutto».

Prima ha parlato di scetticismo. Chi invece l’ha aiutata in questo percorso?

«Sicuramente il mio istruttore, Sergio Pizzichini: voliamo in tandem in modo che possa tenere le mani sulle mie spalle e spiegarmi cosa fare al momento giusto. E, soprattutto, mi dice “brava” quando faccio effettivamente una cosa buona, e non tanto per dirlo».

A volte non è così?

«Spesso si tende ad assecondare il disabile anche se commette un errore. È un approccio sbagliato, che mi dà fastidio».

Imparare a volare vuol dire anche studiare molto.

«Aerodinamica, meteorologia, fonia e tanto altro. E nel mio caso è ancora più complicato.

Perché?

«Mi sono dovuta scansionare i manuali per poi rileggerli sul computer con tutte le difficoltà del caso. In Italia su questo punto siamo un po’ indietro».

A che cosa si riferisce?

In Francia, per esempio, ci sono libri adeguati con disegni in rilievo».

Qui è tutto più difficile?

«Dico solo che a volte ho contattato direttamente le case editrici per chiedere qualche elaborato e non mi hanno neanche risposto».

Qual è il momento più difficile quando è in volo?

«L’atterraggio. Ma sono riuscita a farlo manovrando direttamente i comandi».

Le capita di avere paura?

«È ovvio che se uno ci pensa, se considera che sta per salire su un aereo e mettersi alla cloche, allora effettivamente ci può essere».

Come si reagisce in quei casi?

«Non ci si può far condizionare. Piuttosto bisogna rimanere sempre concentrati e badare a tutto senza lasciarsi sfuggire nulla. Neanche il minimo dettaglio».

Il rumore del motore è uno di quei dettagli?

«È importantissimo. Non ho la vista, ma posso sentire. E proprio dal rumore sono in grado di capire come procediamo e che tipo di manovra stiamo facendo».

E gli odori?

«Fondamentali anche quelli. Una volta ho sentito puzza di benzina e ho avvisato l’istruttore: siamo rientrati subito».

Qual è la più grande emozione provata in questo percorso?

«La prima volta che sono riuscita a decollare da sola. È stato fantastico mettere le manisullacloche e sentire l’aereo che schizzava verso l’alto. Ma ci sono anche altre sensazioni indescrivibili».

Per esempio?

«Quando ho fatto le evoluzioni con un componente della pattuglia acrobatica “Wefly team” dei “Baroni Rotti”: è stato incredibile».

C’è un altro sogno che vorrebbe coronare?

«Prima di tutto vorrei continuare a volare. Non è facile, spesso si tende a dare le cose per scontate. Ma non è così. E poi sì, in effetti, sogno di provare il brivido delle Frecce Tricolori. Come passeggera, sia chiaro».

Conosce quel tipo di aereo?

«Certo. È un MB-339, lo stesso modello che c’è nella base di Galatina, proprio vicino al posto dove sono nata. Chissà, forse è proprio per questo che sogno quel momento. Sono disposta a fare tutti i corsi necessari, ci spero».

Le sue capacità e la grande determinazione fanno di lei un esempio.

«Ma no. Secondo me siamo tutti un esempio: possiamo esserlo nel bene e nel mare, ecco perché portiamo una grande responsabilità».

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