Il Giorno del 06-11-2018
MILANO. «A vent'anni ho dovuto riprendere in mano le fila della mia vita». Katia Caravello, che oggi di anni ne ha 40, ha perso la vista quando era iscritta al primo anno di Giurisprudenza. Dopo aver lasciato tutto, non solo è tornata a studiare e si è laureata in Psicologia, ma sta prendendo una seconda laurea, aiuta giovani e adolescenti ed è nella direzione nazionale dell'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti. «Non mi considero una persona speciale - premette - racconto la mia storia perché sono convinta che tanti possano riprendere in mano la propria vita come ho fatto io».
Primi passi in università?
«Nel 1997. Mi ero iscritta a Giurisprudenza un po’ per il mio percorso delle superiori, visto che ho studiato da "analista contabile" in un istituto professionale di Gallarate, e poi perché mia sorella più grande studiava Economia e commercio, stava preparando l'esame di diritto privato e io l'ascoltavo. Mi sono appassionata del diritto famigliare, di adozioni. Pensavo mi sarei occupata di quello nella vita».
Poi tutto è stato stravolto. Cos'è successo?
«All'inizio lavoravo ed era difficile frequentare. Nell'ottobre del 1998 sono stata ricoverata per disturbi alla vista, che si erano iniziati a manifestare a maggio e giugno. A ottobre ho cominciato a vedere appannato, come attraverso l'acqua. Non distinguevo due cose dello stesso colore se erano una sopra l'altra o la fine dei gradini».
Mai avuto avvisaglie?
«Vedevo 10 decimi prima. Sono stata ricoverata a metà ottobre e sono uscita un mese dopo vedendo solo luci e ombre. Hanno trovato la causa solo dopo il mio secondo ricovero in un altro ospedale, ma ormai era troppo tardi. La mia vita è andata in mille pezzi».
Com'è riuscita a ricomporla?
«Non è stato semplice, per un anno e mezzo nulla. Aspettavo, anche perché c'era una piccola possibilità che recuperassi la vista e ci contavo molto nei primi mesi. Ma non potevo continuare a dirmi: "Se torno a vedere faccio questo o quello". Dovevo farlo. Così mi sono riscritta all'università».
Perché Psicologia?
«Ho capito che dovevo mettere la mia forza al servizio degli altri, aiutandoli ad affrontare il percorso che avevo fatto io. Mi sono iscritta nel 2000. Non avevo l'idea di come avrei studiato. Avevo molta memoria visiva prima, ho dovuto scoprire un metodo nuovo, basandomi sul canale uditivo. Mi sono laureata in corso, con tesi sul burnout degli operatori sociali. L'anno dopo ho conosciuto mio marito e continuato con la specialistica».
Prime esperienze lavorative?
«Ho iniziato la scuola di specializzazione in psicoterapia, che mi è servita tantissimo, e a lavorare con l'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti: con un mio collega ci siamo occupati di incontri di sostegno psicologico di gruppo con ragazzi e genitori. Ho lavorato anche nella comunità Exodus con i tossicodipendenti, nonostante la diversa storia alle spalle sono riuscita ad abbattere le barriere e ho conquistato la loro fiducia».
E oggi?
«Sono componente della direzione nazionale dell'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti. Mi occupo del settore comunicazione e del Corriere dei Ciechi e sono referente nazionale del progetto "Stessa strada per crescere insieme" in collaborazione fra l'Uici e il Consiglio nazionale ordine degli psicologi. È nato come progetto di sostegno psicologico ai genitori dei bambini e ragazzi ciechi e ipovedenti ma abbiamo intenzione di estenderlo alle persone con difficoltà visiva, anziani o che hanno perso la vista da adulti».
Perché ha deciso di tornare in università?
«Voglio completare la mia formazione, nel 2016 mi sono iscritta a Scienze della comunicazione, ho finito gli esami e sto preparando la tesi sull'analisi degli stili di conduzione dei programmi di approfondimento politico. Sono spesso in giro per l'Italia, ho imparato a studiare in treno, mentre viaggio. Non mi fermo».
Così Katia continua a riscrivere la sua vita e aiuta gli altri a fare lo stesso.
di Simona Ballatore
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