Superando.it del 31-10-2018
Pubblicato da Sara Carnovali, “Il corpo delle donne con disabilità. Analisi giuridica intersezionale su violenza, sessualità e diritti riproduttivi” è certamente un testo adatto agli operatori del diritto, ma dovrebbe essere letto anche dalle stesse persone con disabilità e da chi, a qualunque titolo, si occupi di disabilità, perché può contribuire ad educare lo sguardo a mettere a fuoco situazioni che, per essere affrontate in modo appropriato, vanno colte nella loro complessità. Quando poi elenca una serie di buoni esempi e non solo le criticità, è anche un libro che dà speranza.
È stato pubblicato nel settembre scorso, per i tipi di Aracne Editrice, Il corpo delle donne con disabilità. Analisi giuridica intersezionale su violenza, sessualità e diritti riproduttivi, opera di Sara Carnovali, dottoressa di ricerca in Diritto Costituzionale (titolo conseguito all’Università di Milano), che si è abilitata all’esercizio della professione forense presso l’Ordine degli Avvocati di Milano ed è autrice di diverse pubblicazioni scientifiche in tema di diritti delle persone con disabilità, discriminazioni multiple, diritti sociali, migranti e giustizia costituzionale.
Come lascia intuire il sottotitolo, il testo ha un taglio giuridico e centra la propria attenzione sui diritti inerenti alla sfera sessuale e riproduttiva delle donne con disabilità, nonché sulla loro violazione (la violenza nelle sue molteplici forme). La scelta dell’àmbito d’indagine scaturisce dalla constatazione che le donne con disabilità sono esposte a discriminazioni multiple, derivanti dalla combinazione tra variabile del genere e variabile della disabilità, e anche dalla circostanza che tali diritti sono tra quelli meno esplorati dalla dottrina giuridica. Se infatti è relativamente facile trovare elaborati di taglio giuridico sui temi dell’inclusione scolastica e/o lavorativa delle persone con disabilità, altrettanto non si può dire per i diritti afferenti al corpo delle persone con disabilità, indagati in una prospettiva di genere. Ne consegue che l’opera di Carnovali è innovativa non solo per l’oggetto di indagine, ma anche, direi soprattutto, per aver compreso che l’unico modo per tutelare in modo adeguato i diritti delle donne con disabilità è quello di considerare l’intersezione tra il fattore “disabilità” e il fattore “genere” (prospettiva intersezionale).
L’analisi è condotta con rigore metodologico, e non si limita alla ricognizione delle norme emanate a vari livelli (nazionale, europeo e internazionale) e delle più significative pronunce giurisprudenziali, Carnovali, infatti, esamina i diritti in questione anche alla luce degli studi di genere e dei Feminist Disability Studies, e cerca in qualche modo di ricomporre e dare organicità a una produzione normativa che nei fatti è stratificata, frammentata e disomogenea. Un’operazione, questa, che le consente di rilevare anche alcune “aree grigie”, scoperte da consone tutele giuridiche, come quelle rappresentate da quelle situazioni in cui a subire violenza sia una donna con disabilità che non sia stata riconosciuta tale delle Istituzioni (e dunque formalmente non possa accedere alle misure di protezione riservate a chi ha una certificazione di disabilità), che non sia in grado di denunciare l’accaduto, e nelle quali il reato non sia perseguibile d’ufficio.
Rilevano inoltre nella trattazione, com’era prevedibile, situazioni di significative criticità, come quella rappresentata dalla disposizione normativa che consente al Giudice Tutelare di esprimersi riguardo all’interruzione di gravidanza di una donna interdetta, basandosi sulla relazione del medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o del medico di fiducia (articolo 13 della Legge 194/78, la Legge che disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza), senza che sussista in capo al soggetto giudicante un obbligo tassativo di sentire la donna interessata, giacché la Legge stessa dispone che i soggetti interessati siano sentiti «se [il Giudice Tutelare, N.d.R.] lo ritiene opportuno». La norma, inoltre, considera solo il caso della donna interdetta, ma non dice niente su quale condotta tenere in relazione alla donna supportata da amministratore di sostegno e a una donna con disabilità sprovvista di certificazione di invalidità/handicap.
Questi citati sono solo due esempi tra i tanti che si possono trovare nella pubblicazione, e che inducono a riflettere in modo critico sull’effettivo godimento da parte delle donne con disabilità dei diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione.
Come già evidenziato, la pubblicazione ha un taglio giuridico, una caratteristica che potrebbe indurre qualcuno/a a pensare di essere in presenza di uno di quei “mattoni di astrattezza” che si potrebbero proficuamente utilizzare per dare stabilità ad un tavolino traballante. Non è così. In concreto tutta l’opera è “trapuntata” da numerose dichiarazioni di donne con disabilità che hanno il merito di ricordare ai lettori e alle lettrici che ciò di cui si sta trattando non sono situazioni ipotetiche, ma solide realtà. Eccone una: «Quando stavo crescendo, i miei genitori ed io abbiamo accettato il mito [dell’assessualità, N.d.A.] senza porci questioni. Abbiamo semplicemente dato per scontato che, poiché avevo una disabilità, non avrei potuto frequentare né trovare un partner, né avere dei figli. Da adolescente e giovane adulta, ho messo da parte ogni speranza di una vita sociale e mi sono concentrata sui miei studi. Non mi è mai capitato di avere nessun’altra alternativa, che potessi avere al tempo stesso una carriera e una vita romantica» (dichiarazione di Harylin Rousso, ricercatrice, psicoterapeuta, donna con disabilità e una delle maggiori attiviste americane per il riconoscimento e la garanzia dei diritti umani delle persone con disabilità; traduzione a cura di Sara Carnovali, citazione riportata a pagina 319 dell’opera in esame).
Eccone un’altra: «Sono stata portata nella clinica. Mi è stato detto che mi dovevano togliere l’appendice. Io non sentivo alcun dolore, ma ho fatto quello che mi dicevano. Altre quattro di noi hanno avuto l’intervento quel giorno. Io non sapevo quel giorno che la mia vita sarebbe stata rovinata per sempre» (testimonianza di Leilani Muir, donna con disabilità che ha subito un intervento di sterilizzazione forzata, traduzione a cura di Sara Carnovali, citazione riportata a pagina 363 dell’opera in esame).
"Il corpo delle donne con disabilità" è certamente un testo adatto agli operatori del diritto, ma dovrebbe essere letto anche dalle stesse persone con disabilità e da chi, a qualunque titolo, si occupi di disabilità. Questo perché – al di là dell’indubbia rilevanza della sua trattazione giuridica – soprattutto in Italia, le discriminazioni multiple non ricevono ancora adeguata attenzione e protezione perché non se ne parla a sufficienza, e anche perché il nostro sguardo non è avvezzo a guardare alla violenza, alla sessualità e ai diritti riproduttivi delle donne con disabilità in una prospettiva intersezionale, preferendo concentrarsi su una variabile alla volta (o il genere, o la disabilità). Leggere opere come questa può senza dubbio contribuire ad educare lo sguardo a mettere a fuoco situazioni che, per essere affrontate in modo appropriato, devono necessariamente essere colte nella loro complessità.
Chi scrive si occupa di disabilità al femminile da vent’anni, e di violenza nei confronti delle donne con disabilità da una decina. Chi ha fatto questo tipo di percorso non ha bisogno di fare grandi riflessioni per cogliere lo straordinario valore del Corpo delle donne con disabilità. Esso è il frutto di un imponente lavoro di ricerca, riorganizzazione, sistematizzazione della materia che, per quel che mi risulta, non ha eguali nel nostro Paese. Non c’era, adesso c’è! Mentre leggevo il libro, questo pensiero si faceva ricorrente. Ogni capitolo, ogni sezione, era fonte di sollecitazioni e, in qualche modo, mi trasmetteva delle vibrazioni.
Nel primo capitolo, ad esempio, è affrontato in termini generali il tema delle discriminazioni multiple, e in particolar modo di quelle intersezionali, vale a dire quelle in cui le diverse variabili interagiscono e si influenzano vicendevolmente, dando origine a un tipo di discriminazione particolare, i cui esiti sono qualcosa di più e di diverso dalla semplice somma degli effetti discriminanti prodotti dalle singole variabili interessate. In esso trovo qualche conferma e una sorpresa. Le conferme: né l’ordinamento giuridico italiano, né quello europeo hanno affrontato in modo esplicito il tema delle discriminazioni multiple. La sorpresa: lo hanno fatto, sia pure con modalità differenti, il Regno Unito, la Francia, la Bulgaria e, per qualche secondo, mi sono immaginata con le valigie in mano!
Il secondo capitolo, altro esempio, tratta il tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità, mettendo in evidenza in modo chiaro ed esaustivo le caratteristiche peculiari che essa può assumere, nonché le dinamiche relazionali e le numerosissime barriere che fanno sì che per queste donne, intraprendere percorsi di fuoriuscita dalla violenza, sia oggettivamente molto più complesso che non per le donne senza disabilità.
Rispetto a questo tema mi preme sottolineare due aspetti. Uno riguarda l’individuazione di strumenti di protezione predisposti per evitare che nell’àmbito del procedimento penale le vittime di violenza particolarmente fragili incorrano nella cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, subendo, dunque, ulteriori discriminazioni nelle varie fasi del processo. A tal fine vengono individuate modalità protette che possono consistere nell’evitare il contatto visivo tra la vittima e l’autore del reato con l’impiego di paraventi o specchi unidirezionali, nel permettere alla stessa di essere sentita in remoto, nello svolgere l’udienza a porte chiuse. Ciò che rende interessantissimo questo aspetto è la circostanza che nel testo esso sia analizzato in modo specifico in relazione alla protezione delle donne con disabilità vittime di violenza.
L’altro aspetto riguarda il tema della generale inaccessibilità dei servizi antiviolenza. Solitamente, quando si parla di questo tema le persone concentrano la propria attenzione sulle barriere architettoniche e, in generale, sull’inacessibilità fisica (materiale) degli ambienti. Non che questo sia sbagliato, ma è certamente parziale, giacché per rendere accessibile un ambiente e un servizio – qualunque tipo di servizio – a tutte le persone con disabilità, è necessario pensare anche all’accessibilità delle informazioni e dei canali di comunicazione. Ecco, normalmente questo aspetto o non è considerato o, se presente, è abbastanza contenuto, mentre nell’opera di Carnovali esso è ben valorizzato non solo in relazione ai servizi antiviolenza, ma anche rispetto alle altre tematiche affrontate nella pubblicazione, presentandosi come una costante. Se consideriamo l’impatto che questo tipo di inacessibilità ha nella vita delle donne con disabilità sensoriale e di quelle con disabilità intellettive e psichiche, non può sfuggire l’importanza di questa attenzione.
Credo infine che un altro grande merito del Corpo delle donne con disabilità sia quello di sforzarsi di individuare una possibile risposta operativa alle molteplici criticità riscontrate. Perché la denuncia va bene, ma non possiamo fermarci alla denuncia.
Sotto questo profilo, si rivela emblematica la scelta, operata dall’Autrice, di segnalare, nella parte conclusiva del libro, tutti i progetti realizzati e/o in essere volti a superare la discriminazione multipla delle donne con disabilità nelle aree del riconoscimento del diritto all’espressione della sessualità, dell’accesso ai servizi sanitari (in particolar modo quelli inerenti la salute sessuale e riproduttiva), e del contrasto alla violenza. Infatti, pur registrandosi ancora nel nostro Paese un pesante ritardo culturale nelle aree considerate, esistono tuttavia dei buoni esempi ai quali è possibile fare riferimento. E se è vero – come osserva Carnovali – che questi esempi sono ancora poco conosciuti, è pur vero che il testo offre, a chi vuole, l’opportunità di informarsi.
Quest’ultima considerazione mi permette di affermare che Il corpo delle donne con disabilità non è semplicemente un valido strumento operativo per promuovere i diritti fondamentali delle donne con disabilità che afferiscono alla dimensione del corpo, ma è anche un testo che dà speranza.
Simona Lancioni,
Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente approfondimento è già apparso. Viene qui ripreso – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.
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