venerdì 23 novembre 2018

Sport paralimpico, in Italia una vera "rivoluzione culturale"

Redattore Sociale del 22-11-2018

Seconda giornata ricca di interventi al Festival della Cultura Paralimpica. Pancalli (Cip):"Sport strumento straordinario su cui investire, può aiutare il paese a crescere". Lucibello (INAILl):"Sport è alla base della riabilitazione". Nicoletti e il progetto "Cervelli ribelli".

ROMA. Una vera e propria "rivoluzione culturale". È quella che lo sport paralimpico sta portando avanti in Italia secondo il presidente del Comitato italiano paralimpico (Cip), Luca Pancalli, intervenuto oggi al primo Festival della cultura paralimpica organizzato proprio dal Cip e in corso al binario 16 della Stazione Tiburtina a Roma. "Le rivoluzioni culturali avvengono per svariati motivi - ha spiegato Pancalli -. Noi abbiamo utilizzato lo sport come strumento e non solo come fine per mettere in moto un meccanismo di rivoluzione culturale nel Paese. Può sembrare presuntuoso, ma vogliamo fare esattamente questo ed è quello che sta avvenendo". Se oggi c'è una consapevolezza maggiore in merito ai diritti delle persone disabili, ha aggiunto Pancalli, "se siamo approdati all'immagine di una persona disabile declinata in positivo e non necessariamente come oggetto di assistenza è anche grazie allo sport", ha aggiunto il presidente del Comitato italiano paralimpico. Una rivoluzione che oggi la si può leggere nelle parole che vengono usate per parlare dello sport paralimpico. "Siamo passati dall'epoca dei mutilati, invalidi, paralitici come venivamo definiti - ha raccontato Pancalli - a quella in cui parliamo di atleti paralimpici. Oggi, in questo c'è il riconoscimento che la cultura è cambiata".

Parlare di rivoluzione "non è eccessivo", ha sottolineato Roberto Natale, della Rai, durante il suo intervento. "È questo il servizio pubblico - ha spiegato - ed è quello che è stato fatto negli ultimi dieci anni almeno, grazie alla sollecitazione che ci è arrivata da Luca Pancalli e dal movimento paralimpico. La Rai ha avuto la sensibilità e la capacità di fare una cosa che a dirla oggi sembra semplice, ma tanto semplice non deve essere stata. Ovvero, trattare lo sport paralimpico esattamente come lo sport olimpico. Dare gli stessi spazi, gli orari di trasmissione, dare un canale come si fa per le Olimpiadi, la stessa quantità di telecamere. L'ultimo contratto di servizio della Rai, in vigore dal marzo 2018 e per cinque anni, dice che il servizio pubblico è tale se sa produrre coesione sociale. Significa produrre una società in cui le differenze non diventino disuguaglianze, in cui sai includere e rispettare le diversità. Lo sport paralimpico ha reso la nostra società complessivamente più civile e più democratica". A testimoniare un cambio di rotta è anche la testimonianza di Martina Caironi, atleta paralimpica pluripremiata nelle ultime paralimpiadi. "In questi ultimi otto anni ho visto una crescita esponenziale dell'attenzione sullo sport paralimpico - ha detto Caironi -. Credo che prima ci fosse una tendenza al pietismo, al vedere l'atleta paralimpico prima come disabile poi, forse, come atleta. L'obiettivo dello sport, invece, è quello di essere inclusivo. Da Londra 2012 in poi c'è stata un'evoluzione, un cambio culturale. Gli atleti paralimpici iniziano ad essere visti con pari dignità rispetto agli altri. Vedo più attenzione dei media e i giornalisti iniziano ad essere più preparati".

La crescita dell'attenzione nei confronti del mondo dello sport paralimpico e non solo, per Pancalli è di sicuro un buon risultato e i dati Istat diffusi oggi dal presidente Maurizio Franzini, secondo cui il 75 per cento dei disabili che fa sport dichiara di avere una qualità di vita migliore ma sono solo l'8 per cento quelli che lo praticano, confermano che su questo fronte c'è ancora da lavorare. Per Pancalli, lo sport è uno "strumento straordinario su cui investire perché può aiutare il paese a crescere", tuttavia, ad oggi "non è mai stato valutato l'impatto in termini positivi che ha la pratica sportiva può avere sui costi del servizio sanitario nazionale. Lo stiamo facendo con la regione Emilia Romagna. Tuttavia, in questo paese non si è mai avuto il coraggio di affrontare seriamente questo tema".

A sottolineare l'impatto positivo della pratica sportiva è anche Giuseppe Lucibello, direttore generale dell'INAIL. "Per noi lo sport è alla base della riabilitazione - ha spiegato Lucibello -. La presenza di un soggetto che attraverso lo sport ritorna a conquistare momenti di positività e di ritorno attivo nella società è certamente uno dei fattori principali di successo". Lucibello ha anche ricordato l'impegno dell'INAIL a favore dello sport paralimpico. "Alcuni degli atleti più celebrati gareggiano con protesi dell'INAIL. Da Vigorso di Budrio sono passati atleti come Bebe Vio e Zanardi. Abbiamo sviluppi importanti anche con il Comitato paralimpico italiano. Lo sosteniamo a 360 gradi. Adesso abbiamo anche reso strutturale il sostegno economico: non è più legato ad una convenzione che doveva ricercare annualmente percorsi di collaborazione e obiettivi comuni".

Tra gli ospiti di questa terza giornata del Festival, anche il giornalista Gianluca Nicoletti che nel suo intervento ha parlato di "Cervelli ribelli" un progetto realizzato dalla Onlus Insettopia, un'iniziativa nazionale che ha lo scopo di fornire supporto didattico e formativo alle organizzazioni sportive interessate all'inclusione di ragazzi autistici. "La strada dell'attività sportiva è la strada maestra - ha detto Nicoletti ai partecipanti del Festival -. Lo sport per questi ragazzi non è soltanto un'attività ludica o agonistica. È la vita. Fare sport significa entrare in un meccanismo inclusivo. Stare in squadra, lavorare con altre persone. Il risultato per loro non è vincere medaglie. È fare l'attività stessa". Con il progetto Cervelli ribelli, ha spiegato Nicoletti, "abbiamo deciso di lanciare un messaggio forte realizzando il primo kit che permetterà ad ogni persona di buona volontà di includere un soggetto autistico in una attività sportiva - ha spiegato -. Per noi è prassi portare nostro figlio in una palestra o in una piscina e sentirci dire che non conoscono l'autismo e non sanno come fare. È difficilissimo trovare persone che facciano fare sport ai nostri figli. Abbiamo spiegato attraverso cinque opuscoli come si trattano gli autistici, come si includono in dieci discipline sportive diverse, dieci ragazzi autistici di varia collocazione dello spettro autistico per fare in modo che non ci siano più istruttori, centri sportivi, palestre o parrocchie che dicono di non sapere cosa sono gli autistici".(ga)

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