mercoledì 25 novembre 2020

Didattica museale e pandemia. Il Museo Tattile Omero alla sfida della digitalizzazione

Artribune del 25/11/2020

Con la chiusura legata all’emergenza sanitaria molti musei hanno sviluppato strategie online. Come la affronta un’istituzione che fin dai suoi esordi ha fatto della tattilità uno strumento di educazione per il proprio pubblico? Ne abbiamo parlato con Aldo Grassini, ideatore e attuale presidente del Museo Tattile Statale Omero.

ANCONA. Aldo Grassini è l’ideatore e presidente di un museo che fin dai suoi esordi ha intuito che la multi-sensorialità potesse essere un’opportunità di educazione alle emozioni attraverso l’arte per un pubblico ben più vasto di chi è affetto da disabilità visiva, trasformando quindi uno svantaggio in un’opportunità per tutti. Ora però che molti contenuti culturali passano attraverso uno schermo, la sfida si è fatta più dura. Grassini ci ha spiegato come la stanno affrontando in questa intervista ricca di riflessioni, che vanno dalla creazione di percorsi tattili in tutti i musei alla natura non solo visiva delle immagini. E intanto è pronto anche il nuovo sito.

Cosa vuole dire essere il presidente di un museo praticamente unico al mondo? Qual è stata la lunga strada per realizzare questo sogno?

Si tratta di una condizione che oggi produce negli interlocutori un certo interesse o almeno un po’ di curiosità. Spesso vengo trattato come un superesperto in un settore nuovissimo. Ricordo quando, non molto tempo fa, parlando di un museo tattile mi sentivo simile a Cristoforo Colombo quando con un uovo in mano girava per le corti europee per dimostrare la possibilità del suo “folle volo”, per dirla con l’Ulisse dantesco. E le difficoltà per realizzarlo credo che non siano state inferiori a quelle incontrate da Colombo, a causa dei meandri della burocrazia e della precarietà della politica!

In un mondo e una società sempre più basati sulle immagini e sul virtuale, lei porta avanti la ricerca e la valorizzazione dell’estetica della tattilità. Lei ama ripetere che non esistono solo le immagini visive ma anche quelle tattili, uditive etc.

La parola “immagine” è spesso associata esclusivamente alla percezione visiva. Anche nella scuola esiste “l’educazione all’immagine” senza aggettivi e si intende l’educazione del vedere. Ma si tratta di un pregiudizio linguistico. In realtà l’immagine è l’impressione di una percezione sensoriale che portiamo nella memoria e quasi sempre si tratta di un’esperienza di per sé multisensoriale in quanto coinvolge la totalità della persona e del campo percettivo.

Mi si consenta un esempio che trovo, da appassionato melomane, in una delle più famose arie pucciniane. Mario Cavaradossi sta per essere giustiziato e ricorda l’ultimo incontro con la sua amata Tosca. Le note del clarinetto creano l’atmosfera emotiva e lui ricorda: “E lucean le stelle (immagine visiva) e olezzava la terra (immagine olfattiva). Stridea l’uscio dell’orto (immagine uditiva) e un passo sfiorava l’arena (altra immagine uditiva e anche visiva). Entrava ella fragrante (immagine visiva e immagine olfattiva). Mi cadea fra le braccia (immagine tattile)”. L’immagine è il vivido ricordo che in questo caso coinvolge ben quattro sensi che affondano nel mare delle emozioni e dei sentimenti di un’ora suprema. Ridurre tutto soltanto alla visione significa non poter capire l’entusiasmo che da 120 anni quest’aria scatena in tutti i teatri del mondo!

UN MUSEO MULTISENSORIALE

Ritornando al Museo Tattile di Ancona, nato per abbattere una barriera e colmare una mancanza culturale per i non vedenti, ora lei preferisce parlare di “museo multisensoriale”, la differenza quindi la si fa nella progettazione per tutti sin da subito? A questo proposito qual è la situazione legislativa italiana e la formazione dei tecnici e degli operatori museali?

In questo periodo in Italia si stanno muovendo passi interessanti. Nel 2018 una commissione della Direzione Musei del MiBACT ha espresso delle linee guida per l’accessibilità multi-sensoriale dei musei e dei luoghi della cultura statali. La consapevolezza che molti architetti, ingegneri, allestitori non hanno ancora le competenze, l’esperienza e, diciamolo pure, la mentalità necessarie, ha spinto il Ministero e il CNR a produrre un manuale, che sta per vedere la luce, per la progettazione di allestimenti accessibili e, quindi, multisensoriali, la formazione dei tecnici e degli operatori museali.

La chiusura a causa della pandemia COVID è stata per tanti musei una sfida per la digitalizzazione. Come l’ha affrontata un museo che ha fatto della tattilità la sua ragione di essere, un valore per tutto il suo pubblico? Siete stati penalizzati di più rispetto ad altre istituzioni o ci sono dei vantaggi?

La pandemia ha soffocato le attività di tutti i musei, ma per il Museo Tattile è stata una vera iattura. Abbiamo impiegato anni nel tentativo di convincere il mondo che toccare non è peccato e ora siamo costretti a vietarlo anche ai nostri visitatori! Ma abbiamo lavorato di fantasia: abbiamo organizzato le nostre visite utilizzando guanti speciali da noi forniti che consentano comunque di toccare le opere esposte, nell’assoluto rispetto dei protocolli della sicurezza. Si tratta di un palliativo, è vero, ma noi non ci arrendiamo! Abbiamo poi cercato di valorizzare tutti gli strumenti della comunicazione in grado di renderla accessibile anche a chi non vede: pubblicizzare le tecniche della descrizione delle immagini visive, integrare il messaggio con altri effetti sensoriali, utilizzare intrattenimenti musicali, esaltare la parola con conferenze di alto livello e con una rivista scientifica scritta e parlata. In tutto ciò la rete, che spesso deraglia dai suoi percorsi e si impadronisce di spazi alternativi, si è rivelata in questa occasione una risorsa preziosissima e ci siamo “regalati” un sito nuovo di zecca, modello di accessibilità.

IL CONFRONTO TRA ITALIA ED ESTERO

La sua esperienza è particolarmente ricca sul fronte estero sia come turista, sia come relatore in conferenze per il Museo Omero o la Federazione Esperantista Italiana, che ha anche presieduto per molti anni. Quali sono le grandi differenze tra l’Italia e le altre culture? Ci faccia alcuni esempi sia in positivo che in negativo.

Io sostengo che lo strumento fondamentale per consentire a un cieco la fruizione dell’arte sia l’esplorazione tattile. Tutto il resto può essere utilissimo e a volte indispensabile, ma non sufficiente. Da questo punto di vista il Paese dei sogni è l’India. Il loro principale strumento di espressione nella religione e nell’arte è la scultura e in India si può toccare tutto nei musei e nei templi a eccezione, ovviamente, del sancta sanctorum. In Giappone non esiste la cultura del toccare, ma c’è tanto interesse per la nostra esperienza. Nei Paesi anglosassoni, compresi i grandi musei di New York, si curano moltissimo l’accoglienza e la descrizione, ma è difficile toccare. In Francia l’accessibilità è importante, ma non si toccano gli originali. In Germania, come ovvio, c’è molto rigore, ma anche molta attenzione. Nei Paesi scandinavi si possono fare esperienze interessanti. La Spagna è molto più libera e disponibile. L’Italia ha il mantello del leopardo: ci sono ancora luoghi molto rigidi, ma molti altri in cui il muro dell’intransigenza comincia a sgretolarsi. Comunque, una volta tanto possiamo dire che il nostro Paese non marcia certo nelle ultime file.

La lasciamo con un’ultima domanda: sogni nel cassetto ancora da realizzare?

Per il Museo Omero io sogno che il personale possa essere stabilizzato. Ma parliamo del regno della burocrazia in cui sognare è peggio che toccare! Se vogliamo però librarci nel cielo della fantasia, il sogno più bello è che un giorno non ci sia più bisogno del Museo Omero perché tutti i musei e i luoghi della cultura saranno resi accessibili!

di Annalisa Filonzi

in collaborazione con Annalisa Trasatti

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