Superando del 30/11/2020
«Dopo la pandemia – secondo Marino Bottà – il sistema del Collocamento Disabili farà fatica a ripartire e non sarà in grado di affrontare le nuove sfide occupazionali. È ora, quindi, di costruire un’alternativa, una strategia, un soggetto in grado di rilanciare la cultura inclusiva e l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità. Se ci facciamo sentire, troveremo anche chi ci ascolta. E la dimostrazione che è possibile osare sono gli undici emendamenti all’imminente Legge di Bilancio presentati da alcuni deputati, proprio sul tema del lavoro delle persone con disabilità».
Dopo la pandemia il sistema del Collocamento Disabili farà fatica a ripartire e non sarà in grado di affrontare le nuove sfide occupazionali. Alle persone con disabilità disoccupate si aggiungeranno infatti quelle che hanno perso il lavoro per la crisi conseguente al Covid, le quali avranno per legge il diritto di precedenza e saranno in possesso di un curriculum più appetibile per le aziende. Dal canto suo, la classe politica – pressata dai gravi problemi sociali ed economici di questo momento – non avrà la dovuta attenzione verso le persone con disabilità disoccupate e nei confronti delle aziende che hanno perso una quota di disabili assunti prima della crisi causata dal Covid. Quindi le speranze occupazionali di chi attende da anni un posto di lavoro e la riforma del collocamento disabili diventeranno ancora più flebili.
Al silenzio politico e istituzionale si accompagnerà, inoltre, il mutismo dei mass-media e di tutte le parti sociali che dovrebbero sostenere l’occupazione delle persone con disabilità, rilevando al tempo stesso che anche le proteste delle famiglie, delle persone con disabilità stesse e delle aziende si sono assopite. Nessuno sostiene e rivendica i propri diritti e i propri bisogni: le rivendicazioni collettive hanno lasciato spazio a un ribellismo sterile e a un’invettiva narcisistica sui social, creando così un vuoto sociale d’interesse e di partecipazione. Riprova evidente di questo atteggiamento sociale e politico è il declino del Collocamento Disabili pubblico, il calo occupazionale dei disabili, l’assenza di dati statistici e così via. Quindi tutto proseguirà in continuità e coerenza con il motto, non dichiarato, di molti uffici pubblici: «Non fare per non dover cambiare, non cambiate per non dover fare».
Visto pertanto il silenzio complice di tutti, sembra non esservi soluzione. Ma non è così! L’alternativa c’è, ed è quella di ricominciare a costruire dal basso e a non delegare. Rimboccarsi le maniche e colmare i vuoti lasciati in questi vent’anni. In altre parole, bisogna ripartire dalla conoscenza di cosa non ha funzionato nel sistema pubblico di collocamento e dalla consapevolezza di cosa è necessario fare.
La realtà evidenzia una serie di contraddizioni che hanno complicato il processo inclusivo delle persone con disabilità. Il personale degli Uffici Provinciali preposti è scarsamente preparato e aggiornato; infatti nell’anno 2.000 il personale del nuovo Collocamento Mirato fu scelto fra i dipendenti dell’ex Collocamento Obbligatorio del Ministero del Lavoro, personale che non era stato riqualificato e che di conseguenza portò i servizi provinciali verso un’eccessiva burocratizzazione degli uffici.
Anche il successivo turnover ha visto l’impiego di personale non formato adeguatamente cui è mancato pure l’aggiornamento. Pertanto la maggior parte del personale dedicato è privo di un’adeguata preparazione e non è al passo con i cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro e nel mercato del lavoro; a ciò si si aggiunga purtroppo la mancanza di un’adeguata conoscenza delle persone con disabilità. Per queste ragioni è stato vanificato il concetto di collocamento mirato che era alla base della riforma del collocamento obbligatorio.
E ancora, il sistema di collocamento disabili è privo di una gerarchia competente regionale e nazionale. Si sono quindi sviluppati servizi provinciali di tipo “feudale”, dove gli usi e i costumi locali prendono il sopravvento, fino ad operare in contrapposizione alle leggi e alle norme ministeriali. Si tratta infatti di procedure che variano da Regione a Regione e da Provincia a Provincia, all’insegna di un operare senza controlli superiori e senza possibilità di appello per il cittadino con disabilità e per gli imprenditori insoddisfatti.
Del resto, è facile dire che se i disabili non trovano un’ occupazione è per colpa della loro invalidità o per i pregiudizi delle aziende, dal momento che queste ultime vengono da sempre vissute, da parte degli uffici, come una controparte refrattaria a rispettare gli obblighi di legge. Gli uffici stessi, però, le aziende non le conoscono e sono incapaci di cogliere i problemi e le contraddizioni che vivono quotidianamente e che non riescono a controllare, visto l’alto tasso di evasione ed elusione delle norme, ritenuto superiore al 50%.
Gli Uffici Provinciali per il Collocamento, quindi, sono privi di uno spirito di servizio verso le persone con disabilità e le aziende, mentre verso le amministrazioni pubbliche che non rispettano gli obblighi è diffuso un atteggiamento reverenziale, alla luce delle possibili ripercussioni che implicano eventuali azioni impositive o sanzionatorie nei loro confronti.
Di tutto questo l’opinione pubblica non ha conoscenza e gli uffici interessati preferiscono tenere il sistema nella vischiosa nebbia della disattenzione politica. È anche per questo che non disponiamo ancora di una banca dati nazionale e di un aggiornamento statistico dell’operato del Collocamento Disabili (l’ultimo si rifà ai dati del 2015), né si hanno informazioni sulle risorse economiche disponibili rispetto al Fondo Nazionale Disabili della Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili) e ai Fondi Regionali.
C’è voluta quindi una sollecitazione dal basso per avere un’Interrogazione Parlamentare, che ha fatto scoprire come gli avviamenti al lavoro siano mediamente pari al 3,4% (circa 20-30.000 persone) dei circa 800.000 iscritti, ovvero una percentuale a dir poco bassa, una delle più basse d’Europa. E ora, come detto inizialmente, la pandemia farà lievitare ulteriormente il numero degli iscritti.
Il mal funzionamento del Collocamento Disabili, unito alla crisi economica e alla pandemia, hanno penalizzato soprattutto le persone con disabilità più deboli, appartenenti alle categorie dei disabili con invalidità superiore al 79%, disabili psichici, intellettivi e malati rari e disabili sensoriali, stimati circa nel 70% (560.000), soltanto il 13 novembre scorso. In quella data, infatti, ad un’Interrogazione Parlamentare urgente del deputato Maurizio Lupi (seduta dell’Assemblea della Camera n. 427), rispetto al Fondo Nazionale della Legge 68/99, la risposta è stata che le domande delle aziende per accedere agli incentivi di cui all’articolo 13 della stessa Legge 68/99 sono state, per il 2019, 1.141 (di cui 259 riferite a persone con disabilità intellettiva e psichica) e per il 2020 1.231 (316 riguardanti persone con disabilità intellettiva e psichica).
Considerato che possono richiedere il contributo al Fondo Nazionale tutte le aziende che assumono persone con disabilità con riduzione della capacità lavorativa superiore al 79%, oppure con riduzione della capacità lavorativa compresa fra il 67% e il 79% o ancora persone con disabilità psichica e intellettiva e una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, se ne ricava che i disabili con difficoltà di inserimento avviati al lavoro sono circa 1.100 all’anno, pari ad una percentuale dello 0,2%. Quindi un “disabile debole”, ossia una persona con disabilità psichica o intellettiva, che si iscrive alle liste del collocamento pubblico, ha lo 0,2% di possibilità di trovare un lavoro…
A complicare ulteriormente la situazione si aggiunge la questione della perequazione tra i Fondi Regionali (articolo 14 della Legge 68/99). Ci sono infatti macrodifferenze fra le risorse economiche di cui dispone ad esempio la Lombardia, rispetto a molte altre Regioni che non hanno le risorse sufficienti per realizzare qualsiasi politica attiva a favore delle persone con disabilità.
Se poi si aggiunge l’indubbio calo dell’attenzione sociale, facilmente riscontrabile dal numero di articoli apparsi negli ultimi cinque anni sulla stampa nazionale e di proteste e proposte giunte dalle parti sociali, da tutto ciò si deduce che il sistema del Collocamento Disabili pubblico funziona poco, male e in modo discriminatorio (i numeri assoluti lo testimoniano in modo incontestabile).
Ma dov’è l’opinione pubblica? Dove sono i mass media? Dove sono le parti sociali? Spetta a noi sollecitarli! È ora di costruire un’alternativa, una strategia, un soggetto in grado di rilanciare la cultura inclusiva e l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità.
Se ci facciamo sentire, troveremo anche chi ci ascolta. La dimostrazione che è possibile osare sono gli undici emendamenti all’imminente Legge di Bilancio presentati da alcuni deputati [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.]. Emendamenti che mirano a potenziare il ricorso alle convenzioni con le Cooperative Sociali, previste dal’articolo 14 del Decreto Legislativo 276/03, all’inserimento nelle Pubbliche Amministrazioni, al collocamento delle persone con disabilità psichica, sensoriale o con malattie rare, al sostegno alle politiche attive per i disabili ecc.
Spetta a noi cogliere, proprio nel pieno delle difficoltà, l’occasione favorevole e l’opportunità, come diceva Albert Einstein. La pandemia ci sta dando il tempo per riflettere, di decidere e di fare. Dobbiamo trovare quindi la creatività e il coraggio per creare un’alternativa.
Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco (marino.botta@alice.it).
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