giovedì 26 novembre 2020

Guardare al futuro, anche senza la vista

Lucemagazine del 26/11/2020

Tra mille difficoltà e cambiamenti dovuti all’emergenza covid, continua il corso di formazione professionale per la figura di Addetto al Customer Care avviato ormai un anno fa dall’Istituto dei Ciechi. Con una novità: le lezioni a distanza hanno fatto emergere la grande voglia di farcela dei nostri ragazzi.

«Nel mezzo delle difficoltà nascono le opportunità». Uso questo celebre aforisma di Albert Einstein per introdurre una storia di fatica e incertezza, vissuta da nove ragazzi con disabilità visiva, impegnati nella conquista dell’autonomia lavorativa ai tempi del covid 19.

Inizia esattamente un anno fa, il 27 novembre 2019, quando il direttore scientifico dell’Istituto Franco Lisi accoglie nell’aula informatica i partecipanti al corso di formazione professionale per la figura di “Addetto al Customer Care”. Il direttore, con il suo consueto entusiasmo, introduce ai corsisti non vedenti e ipovedenti le materie del corso e gli obiettivi da raggiungere: imparare le regole della comunicazione, padroneggiare le tecnologie informatiche, sostenere una conversazione in inglese, sapere come è organizzata un’azienda, insomma essere formati e aggiornati in un mondo del lavoro che cambia velocemente e che non fa sconti a nessuno. Possiamo immaginare quanti pensieri ed emozioni si affaccino nella mente dei ragazzi durante il discorso: la preoccupazione di non farcela e la voglia di provarci, la paura e il desiderio di mettersi in gioco, sperando di trovare spazio nel mondo del lavoro.

È insomma un avvio di corso normale e speciale al tempo stesso, perché il desiderio di formarsi per trovare lavoro, un lavoro che a molti appare come un sogno quasi irraggiungibile (sottolineiamo il quasi), deve essere sorretto da una buona dose di coraggio e forza di volontà. Eppure bisogna provarci, bisogna crederci. Perché questa è la straordinaria normalità di un ragazzo o di una ragazza che alla mattina si alza, esce di casa, si muove col bastone sfiorando ostacoli e automobili, senza arrendersi ai limiti imposti dalla mancanza della vista, per vivere la propria vita e inseguire i propri sogni.

Nessuno però immaginava quello che sarebbe successo nei mesi seguenti: lo scoppio della pandemia, il lockdown, l’interruzione di tutti i corsi. La speranza di esserne usciti con la pausa estiva, il tentativo di ripresa delle lezioni in presenza a ottobre e poi, ai primi di novembre, l’arrivo della seconda ondata, peggiore della prima, che ha costretto tutti di nuovo a fermarsi.

In accordo con Regione Lombardia, che ha finanziato il corso, l’Istituto decide così di provare a continuare con le lezioni a distanza, consapevole delle difficoltà che questa modalità comporta per chi utilizza il computer con le tecnologie assistive (display braille, sintesi vocale o schermo a caratteri ingranditi per chi è ipovedente).

E qui accade qualcosa di inaspettato: i ragazzi da casa seguono le lezioni con più motivazione e interesse, alcuni scoprono una vera passione per le materie che prima risultavano ostiche. Così è acaduto a Perla di Mauro, ventiduenne di origini siciliane, trasferitasi a Milano per trovare «quella libertà e quella autonomia che da ipovedente puoi trovare solo in una grande città».

Desiderosa di inserirsi nel mondo del lavoro, Perla si iscrive al corso professionale dell’Istituto, affrontando di buon grado le difficili esercitazioni di informatica. Quando iniziano le lezioni da casa trova una nuova motivazione, scoprendo che ci si può appassionare nell’utilizzo del computer, pur avendo coltivato studi umanistici alla facoltà di Scienze dei beni culturali. «Mi sono iscritta qui motivata dalla voglia di trovare lavoro, quindi cerco di impegnarmi, ma non avrei mai detto di potermi appassionare ad usare i fogli di excel!».

Francesco Cusati, docente informatico dell’Istituto e referente del corso, conferma il cambiamento che sta avvenendo. «Stare a casa ti permette di gestire al meglio il tempo, eliminando le difficoltà del tragitto - spiega il docente - certo, manca la socialità e il confronto collettivo che sono aspetti importanti, ma abbiamo constatato che la didattica a distanza si rivela più produttiva per insegnare materie come informatica, inglese e comunicazione. Gli studenti hanno i loro computer che conoscono bene e hanno personalizzato. Pensavamo che fuori dall’aula potessero distrarsi di più e invece li vediamo più attenti e partecipativi».

I docenti dell’Istituto stanno esplorando un campo nuovo nella formazione delle persone non vedenti, aprendo una strada che potrà rivelarsi utile anche in futuro. È stato necessario testare l’accessibilità delle piattaforme digitali, sono state sperimentate le modalità di interazione più idonee per facilitare l’apprendimento, sono state messe a punto modalità di verifica di quanto fanno gli allievi grazie alla condivisione dello schermo e dell’audio in remoto, intervenendo in caso di necessità.

Il corsista Fabrizio Palumbo mi fa notare che il fatto di dover accendere il microfono quando si vuole intervenire costringe a elaborare meglio il proprio pensiero «evitando di fare interventi inutili e innalzando la qualità delle interazioni». Certo, occorre ricordare che la mancanza della socialità in classe e l’isolamento si possono fare sentire in maniera particolarmente negativa verso le persone non vedenti. Proprio per questo, la didattica a distanza non può e non deve sostituire le tradizionali lezioni in presenza.

«Mi manca molto l’aspetto della socialità - confida Fabrizio - mi mancano il clima familiare che si era creato con i compagni, la routine di alzarsi e di prendere la metro. Stare chiusi tutto il giorno fra quattro mura è davvero faticoso».

Fatiche più che comprensibili, eppure siamo convinti che Fabrizio, Perla e gli altri compagni di corso sapranno guardare avanti anche senza la vista, per trovare in questo particolare momento opportunità preziose per il loro futuro.

di Marco Rolando

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