Corriere della Sera del 22/11/2020
TRENTO. Da quasi dieci anni insegna e fa ricerca al dipartimento di Sociologia e ricerca Sociale, dal 2014 ha vinto un concorso comunicando la sua disabilità. Ora però Albertina Pretto è a casa, senza lavoro. Il concorso bandito alla scadenza del suo contratto andrà rifatto dopo una sentenza del Tar che l'ha ritenuto illegittimo, accogliendo il ricorso di Pretto. Nel frattempo però sarà trascorso tempo prezioso, lontana dall'attività accademica e in cerca di un'occupazione.
Una vicenda che colpisce la sezione trentina dell'Unione italiana ciechi e ipovedenti che, in una nota, stigmatizza quanto accaduto. «Leggiamo dell'esperienza "drammatica" della ricercatrice Albertina Pretto e rimaniamo basiti - scrive l'associazione - Non suoni enfatico il termine "drammatica": infatti quando si avvertono sul posto di lavoro discriminazioni dovute alla disabilità, nel 2020 (dopo decenni di battaglie per l'integrazione), e in una Università, che dovrebbe essere il tempio (sia detto senza retorica) della cultura avanzata, non si possono utilizzare che termini definitivi». Il direttivo cita la Costituzione: «"L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro", dicevano i Padri costituenti. L'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti si è sempre battuta per l'emancipazione delle persone con disabilità visiva. E l'emancipazione passa attraverso l'integrazione scolastica e l'inserimento nel mondo del lavoro. Tanta strada è stata percorsa, non possiamo nasconderlo, ma purtroppo casi come quello di Albertina Pretto stanno lì a dimostrare che ancora molta strada abbiamo davanti per una integrazione compiuta». Ciò che si chiede è equità. «Non chiediamo scorciatoie preferenziali e pietistiche, tuttavia chiediamo pari opportunità - rimarca infine l'associazione - E le pari opportunità passano attraverso la dotazione dei posti di lavoro di idonee attrezzature capaci di offrire al disabile occupato la compensazione del suo deficit, così da realizzare un'integrazione piena». (Ma.Da.)
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