Corriere della Sera del 25/10/2021
Ha vinto il ricorso al TAR, da due anni frequenta la specializzazione, da maggio lavora anche in reparto, ma per ilMIUR la prova è da rifare: «Non ci sono le condizioni e la tempistica».
ROMA. «Vorrei poter continuare quello che ho iniziato. Vorrei poter finire la specializzazione in psichiatria cominciata ormai due anni fa»: Gaia Padovani, romana, ha 34 anni e nel 2018 è stata la prima studentessa non vedente in Italia a laurearsi in Medicina all’università Sapienza. Nel successivo anno accademico decide di tentare il test d’ingresso a Psichiatria, ma non riesce a passarlo perché, secondo Gaia e il suo avvocato, non c’erano per lei le giuste condizioni.
«Non era un esame sostenibile alla pari — spiega la dottoressa —. C’è stato bisogno di un tutor competente che leggesse, e rileggesse se necessario o se il testo era particolarmente lungo e complesso, 140 domande a risposta multipla.
Uno sforzo incredibile per me. Mi sono affaticata molto. E poi c’erano anche 5 o 6 tra immagini e grafici per me impossibili da fare, descriverle non poteva bastare. Come si può distinguere una lesione dermatologica in base a una descrizione altrui? Quindi quelle le ho saltate e ho perso punteggio. Avevo chiesto al ministero di sostituirle, mi è stato risposto che non era opportuno».
Da qui, ovvero dalla sua esclusione, parte quindi un iter giudiziario.
«Ho presentato ricorso al TAR ed è stata decisa la mia ammissione. Nel 2020 ho iniziato a frequentare le lezioni e a maggio di quest’anno a lavorare in Day hospital e in reparto. Fino al 12 ottobre, quando il mio avvocato mi ha comunicato che il MIUR aveva deciso che il 4 novembre avrei dovuto ripetere, solo io, la prova di ammissione».
E lei vuole sostenerla?
«Certo, ma non a queste condizioni. In 20 giorni non si può preparare un esame fatto da 20 materie tra cliniche e chirurgiche. Nel 2019 avevo dedicato 4 mesi allo studio».
Cosa chiede quindi a questo punto?
«Chiedo che venga tolta la prova fissata per il 4 e che si proceda con un’udienza di merito che stabilizzi la situazione».
Cosa rappresenta per lei, ipovedente, studiare in quella scuola di specializzazione e lavorare in quel reparto del Policlinico Umberto I?
«La premessa è che non tolgo niente a nessuno. Ma da quando lavoro e ho uno stipendio, legato interamente al merito, che non sia quindi solo una pensione di invalidità e che non comporti gravare sulla famiglia, ho un’indipendenza vera. Per ora vivo con mia madre, ma progetto di andare a vivere da sola. Anche in reparto sono totalmente autonoma, faccio tutto quello che fanno i miei colleghi. Unico limite, il pc, che non ha il riconoscimento vocale e che quindi non posso usare».
di Clarida Salvatori
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